
Il regista, però, non dimentica di mostrarci anche il retro della medaglia: le trame commerciali dello star system, le nevrosi dei protagonisti, travolti da un successo distruttivo oltre che molto attraente. Haynes ci affascina con il racconto di una straordinaria epoca di sogni, attraverso una colonna sonora che ci riporta indietro nel tempo e una fotografia che ci riporta ai fasti degli spettacoli glam, ma allo stesso tempo ci mette in guardia verso quelli che sono i meccanismi economici sottesi alla musica e in generale all’arte.
L’occhio della telecamera è spietato, tanto che David Bowie si è rifiutato di concedere il diritto sull’uso del suo nome al regista, che proprio per questo adotterà degli pseudonimi (e in effetti il protagonista, Brian, è il personaggio che cade più in basso nella vicenda).
Il fascino di questo film di Haynes sta nel saperci trasportare da un’epoca di disincanto e d’impegno a una d’incanto e disimpegno. Forse, a volte, abbiamo solo bisogno di un sogno, non di un’utopia.
L’articolo è un estratto di un pezzo che ho pubblicato su Raramente.net nel 2005.
Indicazioni terapeutiche: la regia musicofila di Todd Haynes (se avete bisogno di rincarare la dose potete vedere Io non sono qui, il suo biopic su Bob Dylan) coadiuvata dalla strepitosa colonna sonora e dalla divina interpretazione dei protagonisti ha l’effetto di un viagra per i sensi degli amanti della musica e del cinema. Se ne sconsiglia l’uso ripetuto, potrebbe creare dipendenza ed avere effetti stranianti rispetto alla realtà.
[…] di immagini dentro il gioco continuo di citazioni e impertinenza di Todd Haynes, che, come in Velvet Goldmine, si diverte a rappresentare il mondo dello spettacolo tra perdizione e godimento. Continui flash […]