Saw abbandona lo spettatore in un intrico di false piste, vicoli ciechi che si aprono in nuove strade, apparenti conclusioni che sono nuovi inizi. L’enigma si fa ipertrofico e continua a intessere linee narrative, che sovrappongono i piani temporali episodio dopo episodio. Saw V inizia dove la saga potrebbe finire: quando l’agente Strahm (Scott Patterson) trova l’orripilante scena con cui si conclude Saw III. Come gli appassionati immaginano e desiderano, è l’inizio dell’ennesima architettura complessa di trappole e sangue.
Con la morte di Jigsaw in Saw III si è aperta una sfida e si può dire che Saw IV abbia avviato una seconda parte della saga. Questo cambiamento di rotta vede James Wan e Leigh Whannell, ideatori del soggetto originale, passare alla produzione esecutiva. La sceneggiatura è ora nelle mani di Patrick Melton e Marcus Dunstan; mentre in la regia è passata a David Hackl, già scenografo e assistente di regia per Saw III e IV. Saw V dimostra che anche post-mortem Jigsaw è in grado di coinvolgere nuovi personaggi nel suo infernale gioco del contrappasso: mentre il suo ultimo erede, l’agente Hoffman (Costas Mandylor), si erge a protagonista, la sua ombra pervade la scena. La sconvolgente capacità dell’Enigmista di prevedere le azioni umane, abbraccia tutti i protagonisti in una morsa letale.
Rispetto ai suoi predecessori, l’ultimo nato della saga alleggerisce la macelleria di carne umana dei dettagli più raccapriccianti e orrorifici e vira prepotentemente verso il thriller. Un thriller sui generis perché se ne conosce la soluzione, ma che, nonostante questo, stimola continuamente una perversa curiosità verso i suoi retroscena. L’ultimo film, come il precedente, scava più a fondo nel background dei personaggi e incorpora le strategie narrative del poliziesco. Questo sviluppo era presente in nuce nei primi tre episodi, ed è forse l’elemento cardine che richiama milioni di fedelissimi in tutto il mondo.
Focalizzato sull’architettura complessiva, più che sulle singole parti che lo compongono, Saw V perde di vista la disamina dei vizi e delle debolezze delle vittime, che era stata un’altra caratteristica fondamentale nei primi film della serie. I peccati si banalizzano, nel senso che non vengono approfonditi a livello psicologico né visuale, ma spesso sono esclusivamente accennati attraverso i dialoghi. Il contrappasso diventa un labile pretesto narrativo, utile per arrivare a un punto che alla fine non si raggiunge. L’incastro di flashback, ritorni e rivelazioni è una struttura labirintica in cui si aprono una miriade di possibilità.
Proprio per questo Saw V è un film incompleto, in cui troppi cerchi non si chiudono: il finale lascia a bocca asciutta e vagamente spiazzati, come se piuttosto che di un’opera aperta si trattasse di un’opera monca. Come dire: lo spettatore che va a vedere il quinto episodio della saga resta prigioniero di una tela di ragno, per cui deve inevitabilmente vedere anche il sesto. E il settimo, attualmente in produzione. Insomma ci si comincia a chiedere quante tessere ci vogliano ancora per riuscire a completare il puzzle. Le trappole e gli eredi dell’Enigmista sembrano potenzialmente infiniti.
Indicazioni terapeutiche: un esercizio per la mente, ma anche un ricostituente per lo sguardo dell’orrorofilo.