
L’Amleto che ha il volto di Gibson è un uomo d’azione, magari non un guerriero nerboruto, ma sicuramente uno scaltro stratega, al quale resta poco tempo per i famosi dubbi. Non manca il celebre monologo “essere o non essere”, ma qui significa chiaramente: agire o non agire? Dal momento in cui incontra il fantasma di suo padre, l’azione di Amleto e anche le sue riflessioni sono tese come un arco verso l’obiettivo della vendetta. Armato di rabbia, Amleto è una bomba a orologeria.
Le inquadrature di Zeffirelli rifiutano la claustrofobia del castello, la telecamera si muove vivace e indugia sui particolari, ignorando le regole compositive di un palcoscenico teatrale. Il montaggio è elegante, ma senza riposo: le inquadrature si susseguono con dissolvenze e stacchi continui, mostrando da vari punti di vista personaggi e azioni. Il testo shakespeariano è la base, ma la sceneggiatura è liberamente abbreviata, le battute sono spostate da una scena all’altra, le ambientazioni interpretate con fantasia, moltiplicando le scene e sfruttando anche gli spazi esterni. Tra il linguaggio delle immagini e quello verbale, Franco Zeffirelli sceglie le immagini.
Il film è di ampio respiro, vicino allo Shakespeare poeta universale, ma vicino anche a noi nonostante sia ambientato nel Medioevo danese. La scenografia curata da Dante Ferretti e i costumi di Maurizio Millenotti riportano in vita l’epoca con assoluta fedeltà: Glenn Close con le lunghe trecce e la veste bianca sembra uscita da un quadro fiammingo. E sull’iconografia medievale gioca molto anche la fotografia: della buia scena di lutto, ai paesaggi ampi che si estendono intorno al castello. Le musiche di Ennio Morricone accompagnano suggestivamente, ma con discrezione, le scene.
Indicazioni terapeutiche: shakespeariano sprone all’azione per soggetti che si facciano cogliere da amletici dubbi.