
La stella di una drag-queen che si esibisce con una band punk sorge in un locale queer della City chiamato Squeezebox. Si chiama
Hedwig ed è un’invenzione di
John Cameron Mitchell, che veste i suoi panni fatti di parrucche e lustrini per circa un decennio, portando il transessuale tedesco dai locali notturni a un teatro underground ai margini di Manhattan e da lì al successo nei cinema di tutto il mondo. Un personaggio simile può sembrare legato esclusivamente a una cultura di nicchia, invece fin dal primo momento riesce a instaurare un legame di identificazione con qualunque pubblico, perché le ferite che segnano la sua storia sono universali. La ricerca dell’amore e quella della propria identità e libertà viaggiano su binari diveresi e il loro contrasto è il tema sotteso alla trama del film.
Hedwig – La diva con qualcosa in più è una storia di passione e rivalsa individuale, nella cornice eccentrica della vita di una performer travestita proveniente da Berlino Est. Naturalmente, poiché si tratta di un musical, il contributo delle canzoni è essenziale: le musiche emozionanti e ricercate, stilisticamente eclettiche, sono interpretate da John Cameron Mitchell e scritte da Stephen Trask, che afferma: “Come il rock crea un contatto tra il pubblico e l’artista, che gli permette di identificarsi l’uno dell’altro, il musical permette di esplorare un’altra cultura”. Ed è la sottocultura queer che il film lascia esplodere davanti agli occhi dello spettatore, che si trova colpito dalla forza emotiva di Hedwig, un personaggio fortemente drammatico, ma sempre in grado di fare autoironia e alleggerire le proprie tragedie con un orgoglioso sorriso. Davanti ai nostri occhi e dietro il travestimento, la protagonista si offre nella sua nuda sincerità individuale.
Ciascuno si sente interpellato quando l’attore canta con sconcertante intensità The Origin of Love, una ballata ispirata al mito platonico della nascita dell’amore (raccontato nel Simposio dal commediografo Aristofane). Il travestimento, a volte sgargiante e volgare, altre volte tale da far apparire Hedwig come una donna sofisticata e quasi angelicata, è il mezzo con cui si esprime il percorso di formazione della diva di Mitchell. “La parrucca è necessaria per lo sviluppo della trama – afferma il regista – è come l’anello ne Il Signore degli Anelli. È la cosa che odi e di cui hai bisogno allo stesso tempo. Per Tolkien è l’invisibilità, per Hedwig il contrario. La possibilità di trovare una propria strada alla ricerca dell’altra metà. Non a caso le sue parrucche sono sempre più chiare man mano che Hedwig si avvicina al successo, ma alla fine lei riesce a liberarsene”. Un esordio alla regia in cui si è lustrata gli occhi la giuria del Sundance Film Festival del 2001, dove il film ha stravinto portandosi a casa il premio di miglior film e quello del pubblico.
Indicazioni terapeutiche: una storia straziante e romantica che risveglierà nel vostro animo sentimentale la vena più punk.